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 exhibitions 

MARIO RADICE:
 Opere su Carta 1930-1980

2001

Le turbolenze degli anni venti e trenta, le miserabili guerre in Africa, quella

cattiva spagnola, le urla dei dittatori dall'alto delle torri per preparare un altro

massacro, altre torture, altri crimini, altri stupri, altre fosse comuni

dimenticate nelle pianure infinite - tutto questa fracasso, questa gigantesca

barbarie legalizzata è stata lo scenario per gli occhi di migliaia, di milioni di

giovani "gentili". Anche del giovane gentile Mario Radice.

A questo spettacolo qualcuno si era sottratto da tempo. L'orrore di quella

che sarebbe stata la prima grande guerra si era annunciata presto nelle crepe della solita generale bugia dei poteri di ogni genere. Persone come Mondrian, Malevich, Brancusi, Pevsner e altri. avevano pensato che forse, per sopravvivere, si poteva anche cominciare a ignorare tutta la parafernalia di simboli, di figure, di enunciazioni, di parole, di definizioni, di promesse, di falsita, eroismi, sentimenti, svenimenti, cantilene, ninnananna, che erano - e sono - i mattoni per costruire Ia cosiddetta macchiavellica "real politik" e - anche oggi - i mattoni per costruire una qualunque società industrializzata. Quelle antiche persone pensavano che prima o poi si sarebbero dovuti riesaminare i pensieri sulla natura, i pensieri sulla liberta, i pensieri sulla pace, i pensieri sulla guerra, i pensieri sul denaro, i pensieri sulla produzione, i pensieri sul mercato, i pensieri sulla morte, i pensieri sulla vita, i pensieri sulla felicita e dato che quelle antiche persone avevano deciso di essere pittori o scultori o architetti o simili avevano pensato che si sarebbero dovuti riesaminare anche i pensieri sull'arte, i pensieri sul destino del loro lavoro.

Quelle persone che erano giovani più o meno gentili, erano - come si dice nel dialetto politico - intensamente impegnati. C'e un impegno che somma e un impegno che sottrae, c'e l'impegno del missionario e l'impegno dell'eremita, c'e l'impegno dei barbari che incendiano e l'impegno di qualche arabo solitario che sta copiando sbiaditi testi greci.

Quelle persone antiche tanto erano impegnate che ben presto sono state

messe da parte. Sono stati chiamati pittori astratti, "astrattisti", come per dire

che con la vita non centravano. Certo non potevano servire al Moloch dell'lstituto. Non potevano certamente servire.

Nei loro quadri non c'erano contadine sorridenti con fasci di grano tra le

braccia, non c'erano generali sui cavalli bianchi in viaggio verso il sole

nascente, neanche soldati insanguinati che sostengono la bandiera lacerata,

neanche paesaggi di oscure fabbriche fumanti - non c'era neanche il pilota

con sciarpa azzurra che vola incontro alia morte sull'aereo di tela e queste

cose ... Nei quadri di quelle persone antiche non c'erano madonne con lo

sguardo bianco verso il cielo, neanche qualche dio, solo, che separa i buoni

dai cattivi, neanche qualche povero disgraziato martire Sebastiano e non

c'erano neanche signore nude sdraiate sui letto con Ia scusa che erano dee

e neanche nobili cortigiane per consolare Ia vita di giovani principi o di

vecchi imperatori.

Quegli antichi pittori gentili non dipingevano niente. Proprio niente.

Forse dipingevano la loro fragile presenza, forse dipingevano soltanto la loro

decisione di essere pittori, forse dipingevano un silenzio, una pausa, per

avere il tempo di domandarsi che cosa poteva essere o che cosa poteva

restare della pittura quando fosse sfuggita al fracasso generale, a tutti quegli

eroi, a quelle lunghe liste di santi, di martiri, di potenti, di prostitute, di grandi ladri, di mercanti -a tutte quelle storie che sono state messe nel non senso

della Storia.

Anche il giovane gentile Mario Radice si chiedeva che cosa poteva restare

della pittura quando fosse sfuggita al grande fracasso. II giovane Mario

Radice andava in giro per musei, per palazzi, per chiese, per corridoi, per

castelli e stava li giorni e notti, con la faccia contro pale dorate, contro

affreschi, contro mosaici, contro piccoli quadri attaccati al muro a cercare la

pittura, a cercare dove era nascosto il segreto della pittura, per chiarire dove

fosse la necessita della pittura, il destino finale della pittura, quando fossero

cadute a pezzi sui pavimento le condizioni richieste, imposte alla pittura: le

condizioni inaccettabili, inaccettate.

Sul pavimento non erano rimasti che frammenti, briciole, sabbia.

Che cosa fare di tutte le vecchie metafore che funzionavano sempre meno,

che ormai non funzionavano piu?

Forse, come avevano pensato gli antichi saggi ormai lontani nella foschia

della storia, anche Mario Radice ha pensato che era il caso di fare una

pausa, di aprire intorno un vasto silenzio. Era il caso di sedersi in solitudine

e ricominciare da capo tutti i pensieri sulla pittura, cominciarli e continuarli in

una nuova maniera, con altre logiche, altre visioni, altri destini.

L'arte e sempre dedicata a qualcuno. E' dedicata a persone, alla fidanzata

provvisoria o permanente, al mercante, al nobile, al disgraziato, all'uomo

impaurito, all'impaurito potente. E' dedicata alia gente, a genti diverse, a

tribu che sono sempre le stesse, a tribu che cambiano.

La pittura è un dono offerto da qualcuno a qualcuno. E' un dono offerto in

caso di testa, qualche volta in caso di nostalgia, di tristezza, qualche volta in

caso di terrificante emergenza.

Nella terrificante emergenza nella quale e stato attore e della quale e stato

spettatore, Mario Radice forse ha pensato di potere donare aile gente, con

la sua pittura, una pausa, ha pensato di potere donare il silenzio. Ha

pensato di poter donare con la sua pittura una specie di nuovo mandala,

dando spazio, sottrargli la dinamica quotidiana, fermare il tempo, concentrare il

pensrero su se stesso, distrarlo dagli eventi, produrre consapevolezza,

produrre una diversa, molto diversa conoscenza.

Come un mandala la maggiore parte delle pitture di Mario Radice finiscono

dentro se stesse, non chiedono aiuti all'esterno, non si confrontano, non

partecipano al fumetto di tutti i giorni, di tutti i tempi, provocano intorno un

vasto spazio di silenzio. Lo provocano e lo richiedono.

Quello che Mario Radice concede alla pittura sta dentro la pittura stessa,

dentro i confini del quadro: segrete tensioni, misteriose proporzioni auree,

nascosti ritmi pitagorici, impercettibili scansioni, invisibili equilibri di linee, di direzioni, di incastri, di geometrie cartesiane e di non geometrie.

Forse per il fatto che Mario Radice ha avuto qualche molto, molto lantana

amicizia con qualche molto, molto lantana tribu di celti (quei celti che non

avevano ombra di governo, neanche ombra di scrittura, soltanto parole e

gesti) e forse perchè Mario Radice non è ne svizzero, ne tedesco, ne

olandese - e non e mai vissuto sotto l'ombra dell'ala del protestantesimo - il

colore della sua pittura, il suo colore, il colore che è andato a cercare per

giorni e notti con la faccia contro pale dorate, contro affreschi, contro

mosaici, contro piccoli quadri attaccati aile pareti, dovunque in ltalia, nel

Mediterraneo ci fosse presenza di pittura - quel colore antico, quel colore di

terra, quel colore di rocce, di foreste, di grana, di acque, primavere, autunni,

fuochi e ceneri, quei colori sono i colori che Mario Radice non ha mai

abbandonato. Sono i suoi colori dentro il silenzio del quale si circonda, il

silenzio che produce e nel quale esiste.

Dentro Ia nuova possibile definizione della pittura che Mario Radice poteva

immaginare, c'e un fantasma che cammina sempre qua e la, un fantasma sempre presente: è la nostalgia per il colore di quella parte del cosmo che

lui conosce bene, quella parte intatta, quella parte che non ferisce perche

non ha neanche il problema della ferita, quella parte pura che si purifica di

stagione in stagione, quella parte luminosa che è l'epifania dell'ignoto.

Tutto questa Mario Radice lo sa.

Mario Radice é un uomo che sa e come tutti i saggi si circonda di silenzio. Non si fida dei colori previsti per il futuro.

Non si fida troppo dei colori del futuro, dei colori dei distributori di benzina,

dei colori Bayer, dei colori inventati o dei colori che si possono inventare.

La pittura di Mario Radice non è una pittura "astratta" - come si dice - e tanto

meno è una pittura "di avanguardia" - come si dice. La pittura di Mario

Radice è una pittura che dichiara perplessità, una pittura sospesa, una

pittura come occhi spalancati sul mondo, una pittura che aspetta, una pittura

che non cerca verità, che non prevede il futuro - non ha quella presunzione - 

una pittura che non "decora", che non sta sopra il muro, lo sfonda, per

andare a cercare nel vuoto che cosa c'è dall'altra parte.

Quel suo speciale colore, quell'equilibrio tra i colori speciali e i loro toni,

quella precisione, quella lentezza del pennello sulla tela per non

abbandonare mai la presa sul mistero, questa è il collante di tutti i segreti, di

tutte le magie che succedono dentro il quadro.

Come il tamburo coperto di nastri e il collante per tutte le invocazioni, per

tutte le parole magiche che recita lo sciamano, un po' guardando la terra, un

po' guardando il cielo.

 

 

 

Ettore Sottsass

Novembre 2001

 

 

 

 

 

 

 

 

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